di Konrad Iarussi
Alex ha detto una frase che dovrebbe essere insegnata nelle scuole: «È disabile chi ha poca stima di sé».
Ha costretto lo sport a non scartare i corpi amputati, dimezzati, zoppi. Non perché fanno pena, ma perché anche così valgono. Alex ha costretto la pietà a scansarsi.
Ho fatto il ciclista, ho affrontato discese a 100kmh e volate a 60kmh gomito a gomito con i miei avversari. Ho perso compagni di squadra in allenamento e in gara.
Ho sempre avuto la sensazione che fosse una specie di roulette russa e che un giorno potesse toccare a me.
Però, ho sempre pensato che siamo di passaggio e che tanto prima o poi tocca a tutti e, allora, meglio che capiti facendo quello che amiamo.
Così, ho vissuto sempre cercando di superare i miei limiti, alla soglia del rischio e, a volte, quella soglia l’ho superata.
Ho smesso di superare quella soglia solo quando è nata mia figlia, perché da quel momento la vita non era più la mia vita. La mia vita è diventata la sua vita, un mezzo per rendere la sua vita più serena e, magari, felice.
Alex in questo è un esempio. Vivere la propria vita per amarsi, stimarsi, imparare e crescere.
Lui ha donato il suo talento e la sua tenacia a tutti coloro che erano relegati all’angolo di quel ring che si chiama vita. Come se fossero i suoi figli, li ha presi per mano e portati allo scoperto, li ha resi vincenti, come è lui.
Ecco Alex, questa è un’altra sfida e, che tu la vinca o la perda, la combatterai e questo farà di te l’esempio di chi non molla mai.
Sempre, dentro o fuori.