La dismetria è un termine medico usato per descrivere la differenza di lunghezza tra due arti, nel nostro caso parliamo del nostro motore, le gambe.
La dismetria degli arti inferiori è una condizione assai frequente, interessa circa una persona su tre, ma se inferiore al cm (0,5 cm se si tratta di bambini) non viene considerata degna di nota, o meglio non viene considerata degna di terapia.
Le cause possono essere di tipo idiopatico (non chiare), post-traumatiche (per esempio danni alle placche di accrescimento) o correlate a una malattia primaria (malformazioni congenite) o secondarie ad interventi chirurgici ( ad esempio la protesi d’anca).
Dismetrie degli arti inferiori possono manifestarsi anche nell’ambito di alcune malattie articolari (per esempio, morbo di Perthes) nonché in modo funzionale in caso di limitazioni motorie a livello articolare.
Infine esistono le cosiddette false dismetrie, dovute a vizi di postura che portano il nostro corpo ad essere storto, contorcersi su se stesso e dar luogo a differenze funzionali della lunghezza degli arti.
Oltre alla difficile distinzione tra una vera ed una falsa dismetria, risulta assai difficile misurare gli arti inferiori, perché in letteratura non esiste un metodo unico ed univoco, ma esistono differenti scuole di pensiero, e conseguenti metodi, che sembrano contrastare l’un con l’altro.
Risulta, quindi, più che mai importante che la diagnosi di dismetria venga fatta non solo da un professionista del settore, ma che sia ben attento e conosca con esattezza tutte le dinamiche del movimento e su tutti gli aspetti funzionali del nostro corpo, altrimenti si rischia di andare a correggere una deformità che non esiste.
Ma perché ci interessa tanto la dismetria? Innanzitutto, nella vita di tutti i giorni, sulla terraferma la dismetria degli arti inferiori può essere la causa misconosciuta di posture obbligate sbagliate e conseguenti dolorini fisici di piccola entità, fino a patologie più rilevanti.
Innanzitutto, come mostrato nello schema qui sotto, una differenza di lunghezza degli arti, si ripercuote sul bacino, provocandone uno sbilanciamento.
Questo sbilanciamento si ripercuote sulla colonna vertebrale e quindi al capo. Per evitare di cadere da un lato e di assomigliare alla Torre di Pisa, la nostra colonna si torce su se stessa, creando curve non fisiologiche, creando spinte e controspinte atte a mantenere il capo in posizione eretta.
Questo adattamento funzionale, che se non viene prontamente corretto si consolida portando con se delle modificazioni strutturali, viene chiamata scoliosi.
Se la dismetria è di entità “lieve” questa può esser corretta mediante l’utilizzo di rialzi nelle scarpe, tali rialzi, almeno inizialmente, non andranno mai a correggere totalmente la dismetria. Le correzioni devono essere graduali e seguite nel tempo, per dar modo al nostro corpo di ritrovare un equilibrio intrinseco man mano ed evitare l’insorgenza di posture dolorose da una correzione troppo repentina.
Tra le problematiche riscontrate nell’ambito della biomeccanica applicata al ciclismo, quelle riconducibili a dismetrie degli arti inferiori risultano essere una piccola parte; eppure tra gli atleti la paura di avere “una gamba più corta dell’altra” è molto sentita.
Accade così che, attratti da “rapidi” rimedi, si sperimenti l’utilizzo di rialzi all’interno delle calzature o si posizionino in modo asimmetrico le tacchette, attribuendo dolori vari in sella a improbabili differenze in lunghezza degli arti inferiori.
Bisogna ricordare che nel 90% degli atleti che mostrano una dismetria, si tratta di una dismetria funzionale, conseguente a posture sbagliate. In questi casi, l’unico intervento davvero efficace, è quello di lavorare sulle catene cinetiche al fine di riequilibrare il nostro corpo e ridurre le errate posture.
Negli ultimi anni la tecnologia ha messo a disposizione di tutti alcuni strumenti in grado di rilevare la percentuale di spinta tra gli arti, un dato molto interessate, se correttamente interpretato, ma che può, allo stesso tempo, rivelarsi un’arma a doppio taglio per semplicistiche interpretazioni.
E’ quindi importante sapere che una differenza di spinta non dipende necessariamente da una dismetria degli arti.
Nella quasi totalità dei ciclisti è registrabile una differenza nella spinta; non tutti però sanno che questa differenza si verifica maggiormente quando si pedala in agilità a bassa potenza e tende a ridursi, se non a sparire, quando l’intensità dello sforzo sale e la cadenza scende.
Si può supporre che pedalando in tranquillità il gesto atletico sia maggiormente “guidato” da un arto che risulta essere così prevalente (come se uno dei due arti fosse incaricato di “battere” il ritmo); quando invece il lavoro aumenta, e la richiesta di potenza si fa prossima al massimale, l’intervento di entrambi gli arti viene garantito con maggior equilibrio.
Per quanto riguarda l’efficacia della pedalata, un arto più corto, non porta a sostanziali differenze. È vero che lavora in maniera diversa rispetto al controlaterale, ma bisogna tenere in considerazione due cose molto importranti: L’adattamento e l’allenamento: la gamba più corta, lavora in un ciclo motorio più “lungo” andando a favorire una costituzione della muscolatura più allungata rispetto alla controlaterale, tuttavia, essendo sottoposta allo stesso carico di lavoro dell’arto più lungo, il suo allenamento sarà funzionale allo sforzo e di conseguenza, seppur con diversa estetica, sarà funzionalmente paragonabile alla controlaterale.
Le differenze di lunghezza di cui parliamo sono assai piccole se consideriamo come “degna di nota” una differenza superiore a 1 cm. Questo vuol dire due cose: su una persona alta 180 cm, dove la lunghezza della gamba si aggira intorno ad 1 metro (100 cm) una differenza tra i due arti inferiore al cm, equivale ad una differenza inferiore all’1%.
Nel caso la dismetria superasse il cm, potrebbe essere più rilevante, e da correggere al di là delle due ruote.
Più che sulle prestazioni, la gamba corta va ad incidere su tutti dei più o meno piccoli dolori che possono insorgere, e solo allora vale la pena fare uno studio ed una eventuale terapia. In tal caso si può giocare sulle lunghezze delle pedivelle, sulla posizione delle tacchette, sullo spessore delle tacchette ecc.
In conclusione, a meno che non si tratti di differenze importanti o che creino un problema doloroso alle articolazioni o, più frequentemente, alla schiena, non andate a rompere quell’equilibrio che il vostro corpo ha creato con tanta fatica.
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