Ha fatto molto scalpore vedere Pogačar senza misuratore di potenza e ciclocomputer nella crono di La Planche des Belles Filles.
In un ciclismo in cui tutto viene programmato in maniera scientifica, si è trattato di una scelta affascinante e controcorrente.
Un approccio che è piaciuto soprattutto agli amanti del ciclismo “romantico”, quello in cui le sensazioni contano più dei numeri.
E, diciamo la verità, chi almeno una volta ha attaccato il numero sulla schiena sa che in certe situazioni i numeri non contano.
L’adrenalina della gara, il tifo del pubblico, l’entusiasmo di una giornata di grazia in alcuni casi sono in grado di spingere il fisico ad andare oltre i propri limiti.
In tutte queste situazioni, i dati di un misuratore di potenza potrebbero addirittura costituire un freno per l’atleta.
Tutto vero, ma c’è un “però”…
Il fatto che Pogačar abbia affrontato la crono senza misuratore di potenza, infatti, è una tesi suggestiva, ma si tratta di una mezza verità.
Analizzando con attenzione le immagini della cronometro si nota che sulla bici da crono (una Colnago K.One), il giovane sloveno aveva, come di consueto, il misuratore di potenza Stages e il ciclocomputer Stages Dash (vedi foto sotto).
Al contrario, la Colnago V3Rs utilizzata dopo il cambio bici ai piedi del tratto più duro, era sprovvista sia di misuratore che di ciclocomputer.
Perché? Cosa significa questa scelta?
Significa che Pogačar (e il suo staff) hanno fanno una scelta intelligente e ponderata, che ha unito il potenziale dei numeri forniti dal misuratore di potenza, con l’entusiasmo e l’incoscienza sportiva di un corridore giovane ed in super condizione.
Pogačar nella crono di La Planche des Belles Filles non aveva nulla da perdere.
Per conquistare la maglia gialla sapeva di dover realizzare una prestazione straordinaria e, allo stesso tempo, sperare in una giornata storta di Roglic.
Allo stesso tempo, visto il vantaggio sugli inseguitori, il rischio di perdere la seconda posizione era ridotto.
Tuttavia, affrontare una crono di quasi un’ora a tutta, senza i dati del powermeter, non è semplice (soprattuto per i corridori “moderni”, abituati ad affidarsi con una certa regolarità ai numeri).
Il rischio di partire troppo forte, o magari troppo piano, era concreto.
Discorso diverso, invece, per gli ultimi 5,9 km, dove di calcoli da fare non ce n’erano più, e bisognava pedalare a tutta, spinti anche dall’adrenalina, dal pubblico, da una maglia gialla sempre più vicina.
Insomma, fare tutta la tappa senza powermeter, probabilmente, sarebbe stato un rischio eccessivo.
Mentre pedalare solo gli ultimi 6 km di salita a sensazioni, un rischio ponderato.
Così nei primi 30 km della crono Pogacar ha sostenuto uno sforzo massimale, ma controllato.
Negli ultimi 5,9 km (dove lo sloveno ha realizzato il nuovo record di scalata), invece, ha pedalato “alla morte”, probabilmente anche oltre i propri limiti.
Una scelta meno affascinante e romantica, ma a nostro avviso estremamente intelligente e ragionata, che ha permesso al corridore della UAE di ottenere il miglior risultato possibile.
Essere campioni significa andare forte in bici, ma anche gestire con freddezza i momenti delicati e fare le scelte giuste.
Per quello che abbiamo visto in questo Tour, Pogačar è sulla strada giusta.
Quali sono le conclusioni da un punto di vista tecnico?
Che in sforzi relativamente lunghi i dati forniti da un misuratore di potenza sono preziosi e, probabilmente, irrinunciabili.
Che per sforzi più brevi, dove sensazioni e fattori esterni hanno un’incidenza elevata, il misuratore potrebbe (in alcuni casi), risultare un limite, poiché non tiene conto dell’entusiasmo, della capacità di soffrire e, neppure, di un eventuale giornata di grazia, quelle in cui vai più del solito e non sai perché.
Portare la prestazione al limite, significa anche pedalare nella giusta posizione.
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